LAVORATRICI E LAVORATORI “FRONTALIERI”

Il recente accordo fiscale tra Italia e Svizzera, siglato il 23 febbraio tra il Ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan e il capo del dipartimento federale delle Finanze delle Confederazione Svizzera, Eveline Widmer-Schlumpf, ha suscitato molto entusiasmo nel nostro Paese; permetterà infatti, attraverso un reciproco scambio di informazioni, di individuare con più facilità gli evasori fiscali e i capitali portati all’estero. L’accordo, tra l’altro, avrà effetti positivi sui bilanci pubblici solo a patto che le pene per gli evasori siano particolarmente severe perché l’effetto assicurato al momento è la diminuzione della tassazione sui grandi capitali investiti in Svizzera da parte di chi possa provare con un Certificato di residenza di svolgere la maggior parte dell’attività fuori dall’Italia. La tassazione in effetti passerà per questi investitori, oggi tassati al 26%, al 15% o meno sui titoli italiani mentre saranno esenti dai proventi su quelli esteri. Se sarà insomma applicata la solita politica dei condoni, l’effetto sarà una diminuzione degli introiti fiscali.
Forse il governo Renzi pensa di ripianare questa diminuzione con l’altro aspetto (quello meno pubblicizzato) contenuto nell’accordo, ossia la modifica delle condizioni di tassazione dei lavoratori frontalieri, con un aumento dell’imposizione per questi ultimi.
Poiché sono poco conosciuti molti aspetti riguardanti l’imposizione dei frontalieri, è doveroso spiegare brevemente i tratti salienti della disciplina e i cambiamenti che interverranno, nonché sfatare alcuni luoghi comuni che riguardano questi lavoratori.
Innanzitutto, non è vero che le imposte pagate dai frontalieri non finiscono in Italia; in base all’accordo firmato nel 1974, riguardante solo i frontalieri italiani, una parte delle imposte alla fonte trattenute ai lavoratori residenti nella fascia di confine di 20 km vengono ristornati dalla Svizzera ai Comuni di detta fascia, e i frontalieri non sono tenuti a dichiarare il reddito in Italia. In questo modo però non sono concesse né deduzioni né detrazioni d’imposta riservate a chi lavora in Italia. Attualmente la percentuale di ristorno è del 38%. Questi ristorni costituiscono una parte molto importante del bilancio dei Comuni di frontiera, soprattutto in un periodo di tagli da parte del governo centrale come lo è quello attuale.
Con il nuovo accordo, gradualmente (ma non si sa con che gradualità) sparirà la fascia di confine dei 20 km e i frontalieri dovranno perciò presentare la dichiarazione dei redditi e pagare le imposte con le aliquote italiane, più alte di quelle svizzere. La Svizzera tratterrà dalle buste paga solamente il 70% di quanto dovuto a titolo di imposta alla fonte, ma non effettuerà più i ristorni ai Comuni di frontiera. Il Ministro Padoan ha rassicurato che questi Comuni riceveranno comunque da Roma le somme che avrebbero dovuto ricevere dalla Svizzera, ma non c’è nessuna garanzia al riguardo.
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Già quest’anno sono aumentate le imposte alla fonte, poiché il moltiplicatore comunale è stato portato dal 78% al 100%; il moltiplicatore più basso era dovuto al fatto che i frontalieri non usufruiscono dei servizi comunali come i residenti. In questo modo la Svizzera è contenta per la previsione di incassare 20 milioni di Franchi in più e i Comuni italiani altrettanto felici di ricevere un importo maggiore di imposte alla fonte.
Tutto questo peggiorerà ovviamente le condizioni dei lavoratori frontalieri, che per il solo fatto di guadagnare stipendi più alti sembra siano diventati “merce di scambio” nelle contrattazioni tra Italia e Svizzera. Attorno alla vicenda c’è un silenzio assordante e non bisogna dimenticare che i frontalieri sono innanzitutto delle persone e dei lavoratori, che si alzano molto presto la mattina e tornano tardi la sera, dopo interminabili colonne.
In un periodo in cui in Italia è più che mai viva la battaglia per i diritti, bisogna sapere che i frontalieri, anche se con contratto a tempo indeterminato, possono essere licenziati in qualunque momento con una semplice lettera; la disoccupazione, trattenuta ogni mese in busta paga, è molto più bassa rispetto a quella riservata agli svizzeri, nonostante sia identica la percentuale di trattenuta; e solo recentemente è stata sbloccata dall’INPS, dopo che per alcuni anni lo stesso istituto senza nessun diritto tratteneva la disoccupazione speciale e versava ai frontalieri disoccupati soltanto la disoccupazione ordinaria.
Un altro luogo comune da sfatare è quello che gli italiani rubano il lavoro agli svizzeri; i frontalieri svolgono infatti, per la maggior parte, lavori che la popolazione locale non vuole svolgere, o che svolgerebbe solamente a salari molto più alti. Partiti xenofobi come la Lega ticinese e l’UDC, o anche insospettabili come i Verdi, fanno leva continuamente su questo sentimento anti-italiano attraverso vere e proprie campagne come la tristemente famosa “Bala i ratt”, in cui gli italiani venivano paragonati a dei ratti che rubavano il formaggio svizzero. Lo scorso anno è stato approvato con pochi voti di scarto un referendum che prevede un contingentamento per gli stranieri, compresi i frontalieri; questo referendum, proposto dall’UDC e appoggiato anche da Lega e Verdi è passato grazie al voto determinante del Ticino. I frontalieri possono solamente subire questa situazione e purtroppo non trovano il minimo sostegno in Italia.
Da quando il governo Berlusconi ha emesso il decreto sul cosiddetto “Scudo fiscale” i lavoratori frontalieri, obbligati ad aprire un conto corrente in Svizzera per permettere l’accredito dello stipendio, hanno dovuto dichiarare i conti posseduti e pagare una somma di denaro per ogni conto nonostante quelli fossero redditi da lavoro e quindi già tassati; sono praticamente stati paragonati a degli evasori fiscali.
Un recente problema è sorto con la revoca da parte della Banca Centrale Svizzera (quindi senza nessuna colpa da parte dei lavoratori) del rapporto fisso del cambio Euro/Franco a 1.20. Diverse imprese ticinesi hanno deciso di ridurre i salari, senza nessun tipo di contrattazione, e qualcuna addirittura ha applicato una decurtazione maggiore per i frontalieri rispetto ai residenti.
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L’accordo fiscale italo-svizzero è dunque, in ordine di tempo, solo l’ultima delle problematiche che riguarda questa categoria di lavoratori, che in Ticino ha ormai superato quota 61000, molti dei quali provenienti anche dalla nostra Provincia; ci auguriamo che le Autorità si facciano carico della situazione e che il problema non venga trattato solo in periodo di campagna elettorale.