Pubblichiamo di seguito il documento sulla riforma delle province scritto dalla Compagna Monica Valore per la News Letter del Prc Lombardia.
L’abolizione delle Province s’inserisce a
pieno titolo in quel quadro di riforme “un tanto al chilo”, messe in atto dal
nostro governo – presieduto dalla versione 2.0 del Marchese del Grillo – per
impressionare gli elettori più disattenti.
Le tappe fondamentali che hanno portato
all’attuale situazione si possono riassumere con l’entrata in vigore, in
particolare, di tre norme: legge n. 56/2014 (cosiddetta
“Legge Del Rio”), legge n. 190/2014 (Finanziaria
2015),Decreto
14 settembre 2015 in materia di mobilità del personale (Presidenza
del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Funzione Pubblica).
Con la legge Del Rio vengono innanzitutto
modificate le modalità per l’elezione dei consiglieri provinciali, passando
dalla cosiddetta elezione diretta a quella indiretta e, soprattutto, vengono
ridefinite le funzioni fondamentali in capo alle Province, rinominate Enti
d’Area Vasta, nell’attesa di una modifica costituzionale che porti alla loro
completa abolizione.
La Finanziaria 2015 mette il carico da
undici ed impone un taglio per il personale degli Enti d’Area Vasta pari al 50%
della spesa fotografata all’8 aprile 2014 e, last but not least, impone
un’ulteriore riduzione dei bilanci provinciali pari ad 1 miliardo di Euro per
il 2015, due per il 2016 e tre a partire dal 2017.
Infine, il Decreto 14 settembre 2015 (a
firma Marianna Madia) detta regole e crono programma per la mobilità del
personale in esubero di Province e Croce Rossa Italiana.
Questa premessa era necessaria per avere
anche un quadro di riferimento normativo, che, ad un’analisi più approfondita,
rivela come le leggi non siano tra di loro coerentemente coordinate in passaggi
fondamentali, creando una situazione paradossale nella loro applicazione
pratica.
La riforma ci è stata venduta come panacea
per la riduzione della spesa pubblica e per il miglioramento dei servizi.
Purtroppo non è così. Vediamo perché.
Innanzitutto, nessuno si è preoccupato di
effettuare un’analisi credibile dei costi, rapportandola ai servizi offerti. I
tagli sugli sprechi non ci sono (perché nessuno ne conosce l’entità, né dove si
annidino veramente). Si tratta di tagli lineari che colpiscono esclusivamente
servizi essenziali e lavoratori.
Sono infatti due i principale fronti
critici di questa riforma: servizi pubblici depauperati e diritti dei
lavoratori.
Partiamo
dai servizi.
Le principali funzioni scippate alle
Province riguardano sociale, cultura, vigilanza ittico-venatoria ed ambientale,
agricoltura, turismo. Nessuno si è preoccupato di definire a chi andranno
queste competenze. In teoria sarebbe spettato alle Regioni riassumere le
deleghe (ed il relativo personale), oppure indicare altri Enti per lo
svolgimento di tali funzioni. Ogni Regione, però, si è comportata in modo
diverso. La Lombardia, ad esempio, ha riacquisito soltanto le deleghe relative
a caccia, pesca ed agricoltura. Strano, vero? Guarda caso in un Regione a guida
leghista.
Che succederà a breve? I disabili non
potranno più usufruire dei servizi relativi all’assistenza educativa scolastica
ed al trasporto, con le gravi conseguenze che tutti possono immaginare per
quanto attiene l’integrazione; cesseranno le attività connesse con gli
osservatori sull’immigrazione e con il terzo settore; le azioni coordinate
contro la violenza nei confronti delle donne rimarranno un vago ricordo. E
questo solo per fare alcuni esempi nell’ambito del sociale.
Un altro capitolo degno di nota riguarda
lo smantellamento del Corpo di Polizia Provinciale. Gli agenti provinciali sono
specializzati nella vigilanza ittico venatoria ed ambientale. Ora, grazie al
decreto Madia, finiranno a fare i vigili comunali. I bracconieri ringraziano ed
anche i disonesti che lucrano sugli scarichi abusivi. Gli animali selvatici in
difficoltà saranno abbandonati al loro destino, mentre fino ad oggi gli agenti
provinciale ne avevano salvati centinaia.
Una non meno triste sorte subiranno i
lavoratori cosiddetti “soprannumerari”, cioè coloro i quali saranno inseriti
nelle apposite liste, preludio alla mobilità. Il loro destino sarà affidato ad
un non meglio identificato applicativo on-line, che s’occuperà d’incrociare
“domanda” ed “offerta” (testuali parole del decreto Madia). L’ambito di
trasferimento presso altro ente (ammesso e non concesso che tutti i lavoratori
siano ricollocati) potrà anche non limitarsi a quello provinciale, ma
estendersi a quello regionale. In soldoni, se abiti a Como e ti spostano a
Cremona, sei costretto a prendere servizio, pena il licenziamento ed il non
riconoscimento degli ammortizzatori sociali. Di professionalità e competenze
acquisite, nemmeno si parla… e parte del salario accessorio non sarà più
garantita.
Da ultimo, giova ricordare come, anche per
le funzioni che resteranno in capo agli Enti di Area Vasta, il futuro non si
prospetti roseo a causa dei tagli previsti dalla finanziaria. I cittadini
possono ragionevolmente aspettarsi che, a breve, non ci saranno più nemmeno i
soldi per la salatura invernale delle strade o per gli interventi strutturali
sull’edilizia scolastica di competenza provinciale.
Non è il caso, in questa sede, di entrare
nel merito tecnico di norme pasticciate e contraddittorie, di conflitti tra
competenze ed altre amenità di questo genere.
È comunque importante non lasciarsi trarre
in inganno. Queste norme non sono state scritte da un ragno impazzito, caduto
nell’inchiostro. Il disegno e le intenzioni sono molto precisi e fanno parte di
uno schema iniziato molti anni fa le cui parole d’ordine sono: depauperare la
Carta Costituzionale, distruggere lo stato sociale, privatizzare e controllare
tutto, sconfiggere e cancellare per sempre le organizzazioni sindacali, in
perfetta sintonia con il piano di rinascita democratica di gelliana memoria.
I fatti dimostrano come i servizi pubblici
trasferiti ai privati non siano né più efficienti, né tantomeno più economici.
La Lombardia ne è un esempio eclatante, con le sue scelte scellerate in
materia, ad esempio, di sanità.
Non possiamo più accettare che vengano
sottratti diritti fondamentali, soprattutto alle fasce più deboli della
popolazione, in una società da lungo tempo orientata verso i dettami del
capitalismo più bieco. Non possiamo più accettare che questi diritti siano
barattati per garantire la ricchezza ed il benessere di pochi e le mire di
potere di una classe politica becera e incompetente.
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