Ieri sera il Teatro Sociale di Como era pieno per Marco Travaglio. Il giornalista de Il Fatto Quotidiano ha parlato a ruota libera per quasi tre ore, ripercorrendo gli episodi di servilismo di taluni giornalisti nei confronti degli uomini di potere, dall’epoca di Mussolini a quella renziana. Il totem di questo atteggiamento viene assegnato a Giuliano Ferrara – “ex-comunista, ex-socialista, ex-tutto” – e alla redazione de Il Foglio, giudicata una palestra dove “si allenano le lingue coi bilancieri”. La domanda retorica al pubblico se “Giuliano Ferrara sarà contro?” è il legante tragicomico dell’intera serata. Non sono da meno però le critiche a Eugenio Scalfari di Repubblica e a Giovanni Minoli e Bruno Vespa della Rai. Lo spettacolo si è concluso, tra le risate e gli applausi generali, con la classifica in stile Gazebo dei cinque migliori “lecchini”.
La problematica del giornalismo – passato dal voler essere il quarto potere, il cane da guardia del popolo,  alla realtà della cortigianeria – è in effetti centrale nel nostro Paese. Aldilà delle battute sagaci occorrerà ragionare seriamente su una situazione potenzialmente catastrofica per la democrazia. Un popolo disinformato è un popolo che non può mobilitarsi per rivendicare ciò che gli viene proditoriamente tolto dai potenti. L’Italia ha assoluta necessità di un’informazione libera e indipendente, di intellettuali impegnati che sappiano scendere in campo per denunciare le ingiustizie anziché adagiarsi nelle comodità del servilismo, stipendiati per trovare fiumi di parole per coprire le idiozie commesse dai governanti.