Il settore della logistica occupa in Italia circa
750.000 addetti, in larga parte «socio-lavoratori di cooperative» che
operano in appalto principalmente all'interno dei centri logistici dei
principali operatori nazionali ed internazionali presenti nel nostro Paese (TNT, DHL, SDA, ARCESE, FERCAM, UPS ecc.)
e nella grande distribuzione.
In Lombardia, principale polo nazionale di
attrazione/generazione di merci, operano 20 mila imprese di servizi logistici.
La Lombardia è inoltre la Regione con il maggior
volume di interscambio con l’estero, rappresentando da sola nel 2007 il 36%
delle importazioni italiane e il 28% delle esportazioni in generale, seguita
per importanza dal Veneto, dall’Emilia Romagna e dal Piemonte.
I socio-lavoratori delle cooperative di facchinaggio
sono di fatto il segmento più debole (sul piano sindacale e contrattuale) della
filiera del trasporto merci e della logistica in generale e sono denominati,
anche a livello contrattuale, «facchini
della logistica», lavoratrici e
lavoratori che a causa di un inquadramento professionale ai limiti della legalità vivono di fatto una situazione di nuovo
schiavismo.
Per loro, non esistono
la retribuzione delle ferie, dei permessi, l'indennità di mensa, percepiscono
una sorta di tfr ridicolo che gli viene suddiviso sulle
restanti 12 mensilità, sono perennemente sotto ricatto e percepiscono
una retribuzione decisamente inferiore ad un collega assunto dall'azienda per
cui loro lavorano in appalto.
Tutto questo crea, come
fa comodo a chi comanda, una frammentazione all'interno dei magazzini ed un
tanto chiaro quanto strumentale indebolimento dell'auto-organizzazione delle
lotte.
I cosiddetti sociolavoratori delle false cooperative
appaltatrici firmano un contratto
che varia dalle 13 alle 20 pagine, all'interno del quale ci sono tutta una
serie di negazioni di diritti fondamentali sdoganati dalla formula con la quale
le lavoratrici ed i lavoratori stessi vengono inserite/i.
Cosa succede?
Al momento della stipula del contratto tra il
lavoratore e la cooperativa appaltatrice, il lavoratore viene inserito con la
formula di socio-lavoratore della cooperativa stessa ed a questo proposito versa (mediante trattenuta sulla prima busta paga)
una quota sociale che può variare tra le 50,00 e le 100,00 €uro. Fatto ciò, sul
contratto viene inserita una clausola in cui si dice che
«il socio-lavoratore
potrà partecipare alla gestione delle scelte aziendali prendendo parte alle
riunioni atte a definire la linea che la Cooperativa porterà avanti» ma purtroppo la realtà è ben diversa.
Le convocazioni delle riunioni arrivano davvero, ma
vengono convocate in una sede lontana 400 km dal luogo di lavoro, alle 21:00 di
una sera precedente un giorno lavorativo portando di fatto i soci
all'impossibilità di parteciparvi.
A quel punto la non partecipazione diventa, in maniera
coatta, una "scelta" del
lavoratore e nessuno può più dire nulla.
Qual'è il rovescio
della medaglia?
Il trattamento che i socio lavoratori delle
cooperative appaltatrici ricevono dal punto di vista del diritto del lavoro fa rimpiangere le agenzie interinali dei primi
anni 2000, (il che è tutto dire), che quantomeno riconoscevano
al lavoratore ogni diritto dal punto di vista contributivo.
Quando si diventa soci
di una di queste cooperative inizia un iter che è a dir poco devastante,
proviamo a fare alcuni esempi:
·
La cooperativa, che con
l'inserimento gode di massicci sgravi fiscali, si fa carico (per così dire)
della retribuzione del lavoratore, tenendone così una di fatto in modo autonomo
tutta la relazione professionale.
·
La paga oraria del
socio lavoratore è nettamente inferiore a quanto stabilito dal CCNL di
categoria
·
Il lavoratore
percepisce la retribuzione il 20 di due mesi successivi al mese lavorato
·
Le ore straordinarie
vengono retribuite senza maggiorazione (sotto la voce "trasferta")
·
La cooperativa una
volta inserito il lavoratore si riserva di farlo lavorare solo nelle giornate
in cui l'azienda cliente ne ha realmente
bisogno ovviamente a fronte di una retribuzione delle sole ore lavorate nel
mese ( ci sono mesi in cui si lavorano 2/3 soli giorni oggi si, domani e
dopodomani no, poi di nuovi si ecc ecc)
·
La malattia viene
pagata dal quinto giorno in poi, detto ciò se si sta ammalati per cinque giorni
si sa per certo che non si lavorerà mai più.
·
Una volta risolto il
contratto il lavoratore non aveva, fino al 2012, la possibilità di
accedere al sussidio di disoccupazione in quanto la cooperativa, LEGALMENTE, non
pagava quel contributo necessario.
Inoltre si crea nelle aziende una reale situazione di
stress e vessazione in quanto il divario tra le due tipologie di colleghi che
di fatto compiono la stessa funzione crea invidie da una parte e paura
dall'altra.
"Il collega
assunto dall'azienda fa il mio stesso lavoro ma riceve un trattamento
decisamente superiore” dirà il "facchino
della logistica
"Il facchino costa
molto meno all'azienda ed è ricattabile quindi prima o poi prenderanno il posto
di tutti noi" dirà il lavoratore assunto dall'azienda.
Negli ultimi tempi, penso ad esempio ai casi dell'IKEA, ci sono state delle vere e proprie moblitazioni che
sono state represse con l'intervento violento delle forze dell'ordine.
Non è un caso che il contratto cooperativo non sia
stato minimamente interessato dallo scempio in materia di regolamentazione
delle leggi sul lavoro chiamato jobs-act
.
Il contratto cooperativo, a chi voleva smantellare
ogni diritto andava benissimo così, anzi potrebbe essere che sia stato preso
come esempio verso il basso.
Si parla ancora troppo poco di questo fenomeno che purtroppo
cresce a vista d'occhio arricchendo i “soliti
noti” sulla pelle di chi lavora.
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