«Al via dell’accordo per il trasferimento di 500
operai, le condizioni del “piano per Cassino”si rivelano completamente diverse
da quelle attese. Gli operai non ci stanno e avviano la mobilitazione».
Cresce la tensione tra gli operai della FIAT di Pomigliano d’Arco (NA) dopo
l’assemblea del 20 gennaio, in cui
accettarono il cosiddetto “piano per Cassino”.
Il piano, che prevedeva il trasferimento degli operai
su base teoricamente volontaria presso lo stabilimento di Cassino, sta portando
a risvolti completamente diversi da quelli attesi e l’azienda, sulla base di un
compromesso che “premia” gli operai “più produttivi”, sta costringendo gli
stessi ad accettare quelli che sono sempre di più veri e propri trasferimenti coercitivi
e non brevi trasferte su base volontaria, così come era stato inizialmente
annunciato.
A prendere il posto nello stabilimento di Pomigliano
saranno dunque gli operai considerati “meno
produttivi”, ovvero coloro che per anni hanno svolto mansioni diverse da
quelle relative alla catena di montaggio.
Paradossalmente, molti di essi, nonostante le diverse
patologie riscontrate che li renderebbero oltretutto inadatti alle nuove
mansioni, sono stati giudicati comunque idonei al lavoro dai medici
dell’azienda. Chiaro che questa situazione non sta facendo altro che innescare delle
dinamiche laceranti.
Pertanto, oltre
ai 500 lavoratori che per due anni
saranno costretti a lasciare la propria città ogni mattina alle quattro per prendere
un pulmino per Cassino e rientrare a casa dopo dodici ore, altri lavoratori
che resteranno in loco e che per anni hanno svolto determinati incarichi
verranno spostati, senza neanche essere opportunamente formati, sulla catena di
montaggio che, ricordiamo, oggi a Pomigliano è regolata sulla velocità di 435 vetture complete ad ogni turno, ovvero
una macchina ogni 45 secondi. Si tratta di ritmi allucinanti, assolutamente
difficili da sostenere. La situazione è ancora più paradossale se si considera
che a Cassino stesso ci sono altri 1500
operai attualmente in cassa integrazione.
Ricordiamo anche che ad oggi a Pomigliano circa 1500
operai lavorano grazie ai contratti di solidarietà, dopo essere usciti da un
periodo di cassaintegrazione durato sei anni. Altri 316 operai sono invece
stati confinati nel reparto logistico di Nola, detto reparto confino, rimasto
chiuso per sei anni durante i quali sono rimasti in cassaintegrazione, e due di
essi si sono suicidati.
Più volte la FIAT ha annunciato un piano industriale
per Pomigliano con l’implementazione di nuovi modelli, oltre a quello della
Panda che attualmente è l’unico ad essere prodotto, ma ogni volta ha rimandato
il momento in cui sarebbero dovute partire le nuove missioni produttive.
Nel frattempo la
produzione si è spostata per gran parte all’estero e in pochi altri stabilimenti
italiani, tra cui Cassino, si è dato inizio alla manovra dei trasferimenti ma
ben presto è stato chiaro che non essendo stato messo in atto da parte
dell’azienda un piano industriale vero e proprio, difficilmente sarà consentito
agli operai di far rientro a Pomigliano al termine del periodo prestabilito di
due anni.
In questo clima tesissimo, gli operai sono ben
consapevoli del fatto che se non accettano il trasferimento, difficilmente
potranno tornare a lavorare.
Ma i lavoratori dell’hinterland napoletano non ci
stanno e non sono disposti a partire, a lasciare la famiglia e la propria città,
per essere trasferiti lontano da casa. Per questo motivo alcuni di loro,
animati dal gruppo più combattivo della fabbrica, cinque ex-licenziati, hanno
organizzato un comitato di lotta chiamato “NO
CASSINO”.
Questo comitato sta provando a contrastare il piano
dei trasferimenti e indurre l’azienda a rivedere i suoi piani. Oggi, domenica 12 febbraio, si è tenuta in
piazza Municipio a Pomigliano un’assemblea pubblica in cui sono state discusse le
forme di lotta di questa mobilitazione.
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