di Francesca Anna Visone

Onorevole Serracchiani,

chi Le scrive è una donna. Una donna che ha avuto la fortuna di nascere in quella che da molti è considerata “la parte giusta” del mondo. Una donna che ha la fortuna di vivere oggi con la terra sotto i piedi e un tetto sulla testa. Una donna che nella sua vita non ha dovuto affrontare devastanti viaggi in mare solo per poter inseguire il sogno di riuscire a sopravvivere. Una donna che non ha visto i suoi figli in quel mare annegare, annegare e morire. Una donna dalla pelle bianca. Una donna europea.
Ma oltre ad essere una donna, sono e sarò sempre prima di tutto un’insegnante. E come insegnante sento il peso della responsabilità di questo mestiere ogni volta che varco la soglia di una classe. Perché noi insegnanti conosciamo bene il valore delle parole. Sappiamo che le parole pesano come macigni, che possono far male più di calci e pugni. E possono far danni, talvolta irreparabili. Soprattutto quando al di là delle parole di noi adulti ci sono ragazzi giovani, giovanissimi, che ci ascoltano. Soprattutto quando quello che sono costretti ad ascoltare è dettato da nient’altro che dalla banalità di un male fatto di pregiudizi e parole buttate quasi lì per caso da un opinionista o politicante di turno, che non vede o non vuole vedere quali conseguenze devastanti possano avere quelle parole su una generazione che dalla Storia dovrebbe apprendere come migliorare il mondo, non come distruggerlo. Quel male senza radici che Hannah Arendt definiva “una sfida al pensiero, quel pensiero che vuole andare in fondo, che tenta di andare alle radici delle cose, ma che nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché oltre al male non c’è nulla”.

Ecco, quando quelle parole pronunciate quasi distrattamente finiscono su un giornale e diventano alla portata di tutti, quando si trasformano in radici nelle menti e nel pensiero di queste giovani vite, è in quel momento che quelle parole acquisiscono un peso enorme. Ed è proprio con il peso delle Sue parole tra le mani che domani mattina io entrerò in classe. Il peso di quelle parole che nessun insegnante che si batte ogni giorno contro ogni forma di discriminazione vorrebbe mai dover spiegare ai propri alunni.

Sentirò quel peso quando mi chiederanno perché la violenza sessuale sia “ritenuta ancora più inaccettabile quando è compiuta da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese” e dovrò spiegare loro che questa è una menzogna e che la verità è che lo stupro non ha colore, non ha religione, non ha provenienza, non ha razza, non ha bandiera, non ha lingua, non ha confini.
Dovrò far capire loro che la violenza di genere è sempre un orrore. Che lo stupro è un atto criminale, indipendentemente dal colore della pelle di chi lo compie. Quando mi chiederanno perché al mondo ci sono uomini e donne che accusano altri uomini e donne di reati che non hanno commesso, dovrò dire loro che alla radice del pregiudizio c’è nient’altro che l’ignoranza e che solo la violenza va combattuta sempre.

Dovrò dire loro che non esistono classifiche nella violenza, che non esiste una violenza che fa meno male di altre, che lo stupro non è più o meno grave se a commetterlo è stato un africano, un finlandese, un marocchino o un italiano.
Dovrò spiegare loro che le Sue parole sono frutto del più becero razzismo, che specula sul dolore di quelle donne che hanno subito violenza per diffondere una cultura malata fatta soltanto di odio e ignoranza.

Dovrò insegnare loro ad accogliere, non a respingere. Dovrò educarli al rispetto, all’uguaglianza, alla tolleranza. Dovrò lottare ancora una volta perché quello che cerco di insegnare ogni giorno non svanisca dietro il preconcetto di chi ha sempre un dito da puntare contro, di chi si sente sempre e comunque dalla parte del giusto, di chi non ha mai provato a mettersi anche solo per un attimo nei panni di chi il pregiudizio lo subisce ogni giorno, ogni momento, e sempre senza una ragione. Dovrò difendere me stessa e loro dalle Sue sterili parole, parole vuote che nulla costruiscono e tutto distruggono.

Francesca Visone, un’insegnante.